CRITICA Un pittore europeo

“Sur le moment, je crois que l’idée de ‘resister’ au Pop Art n’etait pas du tout formulée. Les artistes de la Nouvelle figuration subissaient l’influence du pop art du point de vue formel et pas seulement eux. A Cuba, les artistes ‘révolutionnaires’ peignaient des choses très militantes, très antiaméricaines, mais dans un style parfaitement conforme au pop”: questa frase di Jacques Monory fotografa con esemplare chiarezza e lucidità la situazione che, alla metà degli anni Sessanta, ha portato alla nascita di una vera e propria corrente della pittura europea del tempo, una sorta di lingua franca tra i cui protagonisti si situa anche la figura di Giangiacomo Spadari.

La figuration narrative nasce nel 1964, in occasione di “Mythologies quotidiennes”, mostra epocale curata da Gerard Gassiot-Talabot e fortemente voluta da Bernard Rancillac, che di quelle vicende sarà, nel corso del decennio e di quello successivo, uno dei rappresentanti di maggior spicco. Una mostra letta immediatamente come risposta alla trionfante Pop Art americana (che nello stesso anno otteneva la sua consacrazione europea alla Biennale veneziana, con il premio conferito a Rauschenberg, e con una serie di mostre nei maggiori musei del vecchio continente), e che poneva all’attenzione del pubblico una generazione nuova di artisti, le cui caratteristiche comuni rimangono ancora oggi facilmente identificabili.

Innanzitutto va ribadito, sulla scia dell’affermazione di Monory, che la base stilistica e concettuale è quella pop, declinata con intenzioni specificamente narrative e fortemente caratterizzate in chiave politica. Dunque, l’immagine pittorica trova la sua fonte in un’immagine già presente nel circuito della comunicazione, sia essa quella della stampa, quella interna all’universo artistico, o quella televisiva o fotografica: in ogni caso, la pittura nasce come elaborazione, come appropriazione e interpretazione, naturalmente anche come traduzione. Sono meccanismi, operativi e mentali, che hanno come risultato una duplice possibilità di interpretazione dell’oggetto pittorico: da un lato esso presenta una forte caratterizzazione individuale, soggettiva, derivante per l’appunto da questi  processi; dall’altro si propone allo spettatore come luogo condiviso, riconoscibile, poiché all’origine appartiene a un immaginario collettivo, che accorcia, se non elimina, le distanze tra autore e fruitore, tra l’opera e il suo destinatario.

L’origine mediata dell’immagine determina, allo stesso tempo, anche una precisa connotazione stilistica, guida la pittura verso soluzioni che non possono non tenere conto della natura della fonte da cui prende spunto. Ecco allora una lingua pittorica che gioca volutamente di sponda con i caratteri della fotografia, della televisione, del cinema, della grafica; una pittura che definisce chiaramente i contorni delle figure e delle cose, che accentua i giochi di luce ed ombra, che prende a prestito non solo codici linguistici come l’inquadratura, ma anche tecnici, come ad esempio la solarizzazione, il montaggio, in un percorso che finisce per caratterizzare fortemente le opere realizzate in questo ambito di ricerca.

Ancora, per rimanere agli elementi fondativi di una lingua comune, è opportuno sottolineare la fondamentale importanza assunta – a livello concettuale – dal collage, inteso come atteggiamento mentale, non come tecnica storicamente accertata: per molti autori, l’utilizzo del collage implica la possibilità di far entrare in dialogo o in collisione le immagini provenienti dal mondo esterno, significa modificare la lettura della realtà senza rinunciare ad essa, anzi; il collage non è addizione di singoli particolari, ma è la creazione di una nuova logica, che comporta anche la creazione di un nuovo spazio pittorico. E se l’adozione del collage rimanda ancora chiaramente al momento stesso della nascita della Pop Art – nonché all’uso politico fatto dalle avanguardie di inizio secolo – , è altrettanto vero che in questa specifica evoluzione del linguaggio, un ruolo ancora maggiore sarà tenuto dal montaggio e dalla dissolvenza, da tecniche esplicitamente cinematografiche, maggiormente rispondenti all’idea narrativa che caratterizza tali poetiche. Il cinema, allora, non è più solo una parte consistente del magazzino di icone della contemporaneità da saccheggiare, diviene il linguaggio primario della contemporaneità, con il quale fare i conti da ogni punto di vista, dal quale possono essere mutuati anche elementi costruttivi e non solo iconografici.

Infine, l’aspetto politico, di impegno sociale, imprescindibile per comprendere la natura dell’opera di Spadari e di molti suoi compagni di avventura: il riferimento a Cuba di Monory non è certo casuale e pone in luce la possibilità di tradurre in chiave esplicitamente politica la scelta di operare all’interno di un linguaggio che non si può definire altrimenti che Pop. Non è questione, insomma, di realizzare opere “contro” la Pop americana, è questione di utilizzare quei codici per affermare qualcosa di diverso, una critica il cui bersaglio non è l’arte, ma la società di cui quell’arte è espressione. E’ una diversa interpretazione del termine “popolare” riferito alla creazione artistica: se il termine nasce applicato alla cultura bassa alla metà degli anni Cinquanta, se nei primi anni Sessanta esso viene declinato in chiave di adozione dei linguaggi di quella stessa cultura all’interno della cosiddetta “fine art”, dalla metà degli anni Sessanta esso assume un ulteriore significato, che è quello di un’arte che trovi come suo referente primario non il mondo dell’arte, ma la società nel suo complesso (un semplice esempio a questo proposito, che vale in particolare per Spadari: il linguaggio e gli stilemi della grafica pubblicitaria, che sono una caratteristica fondamentale dell’estetica della Pop americana, non vengono abbandonati, ma vengono utilizzati in un’ottica diversa e con diversa intenzionalità, anche andando a recuperare quella particolare forma di pubblicità che è stata la propaganda politica. Muta, profondamente, il senso dell’opera, ma gli strumenti rimangono gli stessi, perché sono essi a garantire quella comunicabilità che è comunque elemento fondativo di queste poetiche. Non si usano i marchi, ma non si abbandonano le tecniche).

Popolare, allora, come autentica presa d’atto che per comunicare con le masse attraverso gli strumenti dell’arte, sia necessario prendere le mosse dal nuovo immaginario popolare creato dai mezzi di comunicazione, non a caso definiti di massa. In fondo, se il termine “realismo” non fosse già stato utilizzato per definire esperienze molto diverse da questa, sia nella versione italiana di “neo-realismo”, sia in quella francese di “nouveau réalisme”, forse sarebbe ancora il termine più adatto per individuare molte delle opere prodotte a partire da tali presupposti.

Ora, Spadari è un caso davvero emblematico all’interno di tale vicenda: le sue opere potrebbero essere prese a esempio di ognuno degli argomenti sin qui esposti: coincidenza di date; utilizzo dell’immaginario collettivo come motore primo dell’ispirazione figurativa; messa in opera di una pittura fortemente legata alla fotografia e al cinema, in particolare per quanto riguarda l’aspetto della solarizzazione e della dissolvenza; individuazione del collage come momento ideativo, come base concettuale dalla quale partire per creare nuovi significati delle immagini adottate; attenzione a tutti gli elementi della cultura popolare, non solo la fotografia e il cinema, ma anche la grafica; un impegno politico che non si esaurisce con l’avvento degli anni Settanta ma prosegue con estrema coerenza nel corso dell’intera vicenda creativa dell’artista, anche quando, negli ultimi anni, esso si arricchisce di note liriche prima solo accennate.

E’ sufficiente guardare alcune delle opere esposte in questa occasione, anche solo alcuni  particolari,  per riconoscere questi elementi: si veda ad esempio “Cronaca Americana” del 1966, un dipinto dove la minore riconoscibilità del soggetto, la volontà di reinvenzione dell’immagine in chiave puramente cromatica, con la straordinaria trasformazione di un particolare della bandiera americana in un dilagare di azzurri tra cielo e mare, tale da invadere anche il corpo sdraiato, si unisce all’accentuazione dell’elemento fotografico attraverso l’inquadratura, la citazione di una diapositiva, che riporta il quadro immediatamente dentro l’universo della comunicazione, dentro, per l’appunto, quella cronaca che dà il titolo all’opera (E’ peraltro estremamente interessante notare che la soluzione della cromia quasi esclusivamente incentrata sui colori della bandiera americana ha un suo corrispettivo in “Icarus” di Allan D’Arcangelo, uno dei pochi artisti pop ferocemente critici nei confronti della società americana). Così,  “Per un potere” dell’anno successivo si presenta, più che come un collage, come una sorta di continua dissolvenza di immagini, come una narrazione che determina anche la spazialità del quadro, con la fuga dei piani sulla destra – le figure, l’automobile, i cartelli, i macchinari -, e ancora il rimando alla fotografia e ad una attualità che non vuole però esaurirsi nel tempo breve di un flash, ma si sedimenta in un linguaggio che, storicamente, presuppone una durata differente, più lunga.

Storia e cronaca in Spadari vanno sempre di pari passo, si incontrano sul terreno della pittura, come accade nei dipinti costruiti su ormai antiche immagini di altre rivoluzioni, in particolare quella russa, o nell’icona di Che Guevara a cavallo, realtà e proiezione mitopoietica, Korda e David, verrebbe da dire, data l’icasticità dell’immagine (senza dimenticare le ironiche elaborazioni sul tema del ritratto a cavallo di Arroyo). I colori acidi, i tempi che si sovrappongono, la chiarezza delle singole immagini e la ricchezza dell’insieme, tutto contribuisce a non chiudere il quadro all’interno di una vicenda puramente artistica, ma allo stesso tempo dice anche di una volontà di rimanere all’interno di una tradizione che, per Spadari, non è ancora da considerarsi esaurita.

Elementi, tutti, che permettono anche di situare con una certa precisione l’artista all’interno di una specifica declinazione di una vicenda ampia come quella della nuova figurazione italiana ed europea: non solo nel facilmente riconoscibile ambito milanese, del quale è stato insieme ai compagni di strada De Filippi, Sarri, Mariani, Baratella, uno dei protagonisti assoluti, ma nel più vasto panorama che, solo per limitarsi ad alcuni esempi, comprende i già citati Rancillac (per scelte stilistiche e politiche forse il più vicino a lui), Arroyo, la Coopérative des Malassis, il Cueco degli ultimi anni Sessanta, il Fromanger dei Settanta, Ivan Messac. Non si tratta qui di definire un gruppo di artisti, di aggiungere etichette a etichette, ma di riconoscere un orizzonte comune, tanto dal punto di vista stilistico che da quello delle scelte politiche, dell’atteggiamento complessivo nei confronti della realtà nel suo complesso, e della posizione dell’intellettuale all’interno della società.

L’impegno militante è una parte importante della vicenda creativa di Spadari, e della sua vita, ma forse per leggerlo nella sua giusta luce è necessario vedere l’omaggio a Sciascia del 1990: anzitutto perché la scelta del personaggio non è certo casuale, poi perché i due piani su cui si sviluppa il dipinto, i ritratti in basso e la citazione fotografica in alto, sono esemplari dell’atteggiamento del pittore: come se l’impegno non fosse disgiungibile da una riflessione sulle ragioni non solo dell’immagine, ma dello stesso fare arte, dell’aver scelto un linguaggio preciso per esprimersi. Un linguaggio nel quale ancora si possono trovare le possibilità di un contatto con i propri ipotetici spettatori, dove natura e cultura, storia e presente, si fondono in un’unica immagine, di straordinaria valenza poetica. La fotografia, il dipinto, l’intellettuale, la storia, il privato e il pubblico, la natura: tutto è dentro il quadro, ma forse il vecchio che indica con il bastone suggerisce anche la volontà, il bisogno guardare fuori dal quadrato dipinto, al di là della cornice, dove ancora c’è il mondo che chiede un’immagine inventata, anche se nata dalla realtà.